Il cervello dei gatti può aiutarci a capire il nostro declino cognitivo, ha scoperto la scienza

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di Francesca Argentati

16 Novembre 2024

Anziano sdraiato sul divano solleva un gatto rosso a pelo lungo

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Osservare il cervello dei gatti può essere molto più utile di quanto pensiamo, secondo la scienza.

Questo, infatti, può rivelare preziose informazioni sul declino cognitivo umano e su molte malattie legate all'età che avanza.

In che modo? Ecco cosa hanno scoperto i ricercatori.

Il cervello dei gatti invecchia in modo molto simile al nostro

Il cervello dei gatti invecchia, proprio come il nostro, e secondo la scienza potrebbe racchiudere la chiave del nostro declino cognitivo.

Col passare del tempo, i cambiamenti cerebrali dovuti all'età che avanza sono naturali, ma in gran parte ancora incomprensibili.

Dopo decenni, la scienza ritiene che i felini possano fornire risposte più convincenti rispetto ai roditori.

Così, i ricercatori stanno volgendo lo sguardo ai processi di invecchiamento cerebrale nei gatti, arrivando a una conclusione inaspettata.

Questo percorso avviene in modo molto simile al nostro, con spiccate e sorprendenti equivalenze: ciò significa che i gatti  potrebbero nascondere i segreti di molte patologie neurodegenerative umane.

Il progetto Translating Time sull'invecchiamento cerebrale

Primo piano di un gatto a occhi chiusi

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Gli scienziati si sono resi conto che, invecchiando, il cervello dei gatti mostra la stessa atrofia di quello umano, oltre all'accumulo di grovigli proteici.

Negli anni Novanta ha preso vita il progetto Translating Time, che in un primo momento aveva l'obiettivo di monitorare le linee temporali dello sviluppo nel cervello di diversi mammiferi.

Oggi è stato incrementato con dati raccolti da più di 150 specie inerenti l'invecchiamento cerebrale, per avere una panoramica più ampia e completa della neurodegenerazione.

Christine Charvet, neuroscienziata dell'University College of Veterinary Medicine, New York, ha spiegato: "Per affrontare le sfide della medicina umana, dobbiamo attingere a un'ampia gamma di sistemi modello".

Questo significa includere specie come gatti, cani e lemuri, raccogliendo informazioni eterogenee sul processo di invecchiamento cerebrale.

Una strada che sembra più efficace se si pensa che i topi hanno una durata di vita molto ridotta rispetto a quella di altri mammiferi e meno tempo per riportare danni neuronali simili ai nostri.

Secondo Elaine Guevara, che studia la genetica evolutiva dei primati alla Duke University, nella Carolina del Nord:

"La discrepanza evolutiva tra topi e uomini potrebbe essere una delle ragioni per cui gli sforzi per sviluppare terapie per curare la malattia sono spesso falliti."

Il cervello dei gatti può nascondere il segreto del declino cognitivo

I gatti, al contrario, oltre a presentare processi di deterioramento cerebrale paragonabili a quelli umani, hanno una durata di vita molto più longeva.

Non solo: i felini domestici condividono gli stessi spazi dei proprietari e sono quindi esposti ai medesimi ambienti. Inoltre, la loro età può essere equiparata alla nostra in modo piuttosto semplice.

Un gatto di un anno corrisponde a un umano di 18 anni, mentre a 15 anni equivale a una persona di 80 anni, età in cui entrambi mostrano segni di declino cognitivo e il volume del cervello si modifica.

Per questo motivo, il progetto Catage della Charvet sta raccogliendo dati sanitari da proprietari di gatti, effettuando finora più di 50 scansioni cerebrali.

Sebbene Charvet sottolinei che "i gatti sono utili, ma solo fino a un certo punto, poiché servono anche altri sistemi modello", la somiglianza tra il loro declino e il nostro è un punto di partenza interessante.

L'analisi approfondita dei dati può infatti aiutare la scienza a scoprire perché alcuni cervelli si deteriorano prima di altri e rallentare questo processo.